Esiste veramente una soluzione semplice all’apparente complicato problema dell’autonomia delle batterie auto? A quanto pare sì. Ecco come.
Sembra quasi impossibile a dirsi, eppure risolvere la questione della durata delle batterie degli EV potrebbe essere un gioco da ragazzi. Mentre le case automobilistiche si stanno ingegnando su quali alternative trovare a quelle maggiormente in uso al litio-ferro-fosfato (investendo ad esempio in quelle al nichel-manganese-cobalto più resistenti ed efficienti), dall’Asia gli studi stanno continuando senza sosta. Chi parla di accumulatori al sodio, chi allo stato solido, chi invece non vorrebbe nulla di tutto questo, ma vede il futuro nell’idrogeno.
Ebbene, direttamente dalla Cina dei ricercatori sono stati in grado di trovare un metodo che non ha nulla a che vedere con la chimica, ma che si riduce ad un elemento naturale che è presente attorno a noi in grandi quantità, almeno in Oriente e Occidente. Diversi i suoi punti di forza, su tutti la facilità di reperibilità e la possibilità di estendere di parecchio l’autonomia della macchina con motore elettrico. La differenza rispetto al sistema attualmente in uso riguarda anche il funzionamento: non più un continuo ping-pong degli ioni tra anodo e catodo.
L’innovazione consisterebbe nell‘utilizzare l’acqua come elettrolita, l’alluminio come anodo e il manganese come catodo. Da quanto emerge un solo grammo di quest’ultimo materiale andrebbe a contenere oltre dieci volte in più di energia rispetto ad una comune batteria al litio, il che significa che l’autonomia sarebbe infinta. Si tratta di una scoperta molto importante, perché se venisse davvero applicata renderebbe anche i mezzi a carburante superati sul fronte tecnologico.
Nello specifico il processo si svolgerebbe in questa maniera: le molecole d’acqua nelle celle darebbero elettroni al catodo di ossido di manganese, in modo da produrre ioni di idrogeno carichi positivamente. Tramite l’elettrolisi si verificherebbe un flusso di ioni di idrogeno, mentre gli elettroni della stessa sostanza del dispositivo trasportano energia tramite il circuito realizzato. In fase di carica l’elettricità seguirebbe il flusso inverso, con l’anodo a dare elettroni all’elettrolita. Secondo un test effettuato in laboratorio su una ventola di piccole dimensioni, questa avrebbe funzionato per dodici ore non-stop. Per converso, adoperando una classica batteria si sarebbe fermata dopo due. Il beneficio principale starebbe nel potenziale delle molecole d’acqua di catturare e rilasciare energia in continuazione. Una tecnologia da non sottovalutare, seppur i costi rappresentino ancora un grosso ostacolo.
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