Malgrado i buoni risultati del 2022, il Gruppo Stellantis si è appena reso protagonista di un’azione estrema. Cosa sta succedendo.
Era lo scorso mese di febbraio quando Stellantis rendeva pubblici i dati delle vendite dell’anno precedente. Con un utile di 16,8 miliardi di euro, ovvero il 16% in più del 2021, sulla carta il grande colosso che unisce alcuni dei più importanti marchi dell’automotive europeo all’americana Chrysler, avrebbe avuto ragione di essere soddisfatto per quanto ottenuto. Ed invece una scelta improvvisa, quanto drastica sta facendo discutere.
In un momento in cui l’acquisto di un’auto è reso complesso dalla crisi dei microchip, il Gruppo è riuscito a far fluire nelle sue casse 10,8 miliardi. Una cifra importante convertita in un approccio aggressivo sul mercato, con tante nuove uscite sin dai primi mesi del 2023, in particolare nel campo dell’alimentazione elettrica.
Eppure, come abbiamo detto, qualcosa sta destando perplessità.
Ci riferiamo al fuggi fuggi generale degli azionisti. I vertici hanno infatti ceduto o palesato la volontà di cedere le azioni societarie, per una somma pari a 22,5 milioni di dollari.
Aria di maretta, allora? Stando alle loro parole nient’affatto. La dirigenza ha assicurato che si tratta semplicemente di cessioni pianificate per ragioni fiscali. Tali informazioni provengono da un report presentato alla Securities and Exchange Commission degli States che si occupa di controllare le operazioni della società. L’addio più sostanzioso si è verificato a maggio, mentre altri due congedi di peso si erano tenuti a marzo.
Ma chi sono i personaggi che avrebbero deciso di “liberarsi” delle quote? Si parte da Mark Stewart, responsabile operativo per il Nord America, l’omologo per il Sud America Antonio Filosa, il boss di India e Asia Carl Smiley, il consigliere generale Giorgio Fossati e perfino il presidente John Elkann e il direttore finanziario Richard Palmer. In generale le azioni coinvolte toccherebbero 1,35 milioni.
A cedere il maggior numero di questo è il primo del nostro elenco. Addirittura le quote cedute sono state 648.087 per un valore di 11,2 milioni di dollari, mentre l’alto dirigente della Ferrari ha al messo sul tavolo 187.853 azioni valide per 3,1 milioni di dollari. La mossa che più ha destato stupore è stata però quella del capo delle finanze. Dopo vent’anni di onorata carriera in quella che fino ad paio di annate fa si chiamava FCA e prima ancora in altre aziende che poi si sarebbero unite sotto lo stesso ombrello, Palmer ha voluto liberarsi di tali incombenze già da marzo.
Problemi in vista quindi? Non non si direbbe proprio, visto che l’ultima vendita si è verificata in corrispondenza del pagamento di distribuzione dei dividendi, pari a 4,2 miliardi di euro. Sebbene per via della variabilità del mercato azionario non si possano fare calcoli certi e stabili, una quota del Gruppo corrisponderebbe a 16,29 dollari.
Ciò significa una produzione continua di liquidità. Per avere conferma dell’assenza di problematiche non dovremo aspettare molto. Il prossimo 26 luglio, quindi fra una ventina di giorni, è atteso il primo prospetto dell’annata in cui verranno dettagliati gli utili e le eventuali perdite.
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